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mercoledì 27 maggio 2009

Quelli della notte

Giardino del Lussemburgo - Parigi

-->Ottobre 2008
Ospedale - Medicina Prima - terzo piano

Ancora una lunga notte da passare in una delle tante squallide camere a sei posti, solito reparto, solite facce, questa notte però si prospetta calma, gli infermieri sono già passati per sistemare uno per uno tutti i malati, come si fa con i bambini piccoli.
Stranamente c’è pace, una pace reale per chi stasera riesce a dormire tranquillo, ma anche una pace apparente… per chi è imprigionato nel proprio corpo a tal punto che non riesce nemmeno più a lamentarsi.
Mi ritrovo ancora una volta su questa poltrona, una di quelle che abitualmente prendiamo dalla sala di attesa e trasciniamo per il lungo corridoio fino alle stanze dei malati cercando di non fare rumore, ma che poi ad ogni occasione goffamente sbattiamo nella porta o in qualche letto, noi, “quelli della notte”, abituati ai lamenti e ai deliri delle persone anziane, noi, che anche quando torniamo a casa dalle nostre famiglia, sentiamo nella testa rimbombare come un’allucinazione uditiva il suono del campanello che avvisa gli infermieri che qualcuno ha bisogno di loro.
Durante il giorno invece, stiamo seduti su una sedia di plastica verde smeraldo, che quando ci sei seduto sopra e ti muovi appena, l’odioso scricchiolio dà ragione a qualche occhietto ancora lucido di aprirsi per capire cosa stai facendo.
Su queste sedie e su queste poltrone chissà quante persone sono passate, quanti hanno pianto e si sono disperati, quanti avranno pregato il loro Dio e quanti avranno sperato in un giorno migliore.
Stasera siamo in due a piangere per la propria mamma. Non sono sola.
Nel letto di fronte, un signore con qualche anno più di me, in piedi tiene la mano della propria mamma oramai in coma irreversibile.
Quasi spenta ma alla ricerca frenetica di ossigeno, il suo corpo ancora sussulta, chissà ancora per quanto.
Suo figlio tiene la mano come si tiene la corona di un rosario, ma invece di invocare la Madre di Gesù, leggo sulle sue labbra una frase che riconosco “Nam myoho renge kyo”, mi sembra di
ricordare il significato di questo mantra buddista.

Questo reparto di ospedale ospita di solito persone anziane e proprio per questo per molti di loro si conclude l’atto finale della vita materiale, condiviso chi con i propri cari, chi con la propria badante, mentre i più sfortunati in completa solitudine.
Quasi mai velocemente, qui di solito si stenta a morire.
Qui se muori è perché hai ricevuto una grazia.
La cosa più infinitamente triste è che chi è ricoverato qui, spesso si rende conto di dove è, che probabilmente è alla fine dei suoi giorni.
Non conto più le volte che sono entrata qui dentro. All’inizio ero invasa da una specie di ribellione e soffocamento, non avevo mai provato fino a quel momento cosa significasse pensare alla morte di un mio stretto parente.
Da una parte il dolore e lo sgomento, dall’altra la speranza.
E poi… a momenti tanta rabbia.
Rabbia verso la mia famiglia e i loro problemi, non i soliti problemi purtroppo, per spirito di sopravvivenza ho dovuto fare finta di niente anche con me stessa.
Ma sai com’è… a volte ritornano.
Niente paura, adesso la rabbia almeno per il momento è scomparsa, di fronte a tanta sofferenza mi sono arresa.
Stavolta è una sofferenza reale, tangibile, la comprendi senza fatica.
La rabbia non serve a niente se non a soffocare e a complicare ancora di più le cose….


..Ad un tratto mia mamma apre gli occhi , mi osserva e mi chiede cosa stia facendo, le rispondo sorridendo “scrivo, sai …sono una scrittrice”, lei sbuffa un sorriso, si vede che questa cosa le piace perché è tanto che non la vedo sorridere e prima di richiudere gli occhi mi dice “scrivi , scrivi….io dormo”.

Spesso penso a chissà quante cose abbiamo in comune e non ne sono mai venuta a conoscenza. Forse, se a suo tempo avesse scritto qualcosa di sé , magari avrei avuto un’occasione in più per poter intuire più facilmente cosa magari ci assomigliava.
In questo momento mi viene in mente che ci piace ad entrambe addormentarci su di un lato, poi non mi viene in mente altro.
Penso ai suoi anni sprecati nell’offuscamento della depressione, chissà la causa, di certo, mi ripeto sempre, non lo ha fatto di proposito.
Adesso dopo tutti questi mesi di sofferenza fisica dovuti ancora non lo so a cosa, non ho ancora avuto la grazia di sapere per quale motivo mia madre probabilmente morirà, mi piace pensare a come sarebbe bello che ci fosse un po’ di pace, ora che il dolore le ha reso lo sguardo più lucido , ora che forse avrebbe la capacità di apprezzare il profumo di un fiore, di fare una conversazione, magari di vedere crescere un po’ sua nipote, poi magari il silenzio, ma prima un po’ di pace per poter dare un minimo di riscatto a questa sua esile esistenza.

Me lo avevano detto, il dolore a volte viene per dare un significato alla propria vita e anche a quelli che ti stanno accanto, forse per aiutarci a dare un senso al nostro presente, per mettere in luce l’essenziale, per poter riuscire a spazzare via le cose e i discorsi inutili, quello di cui veramente ognuno di noi ha bisogno ma di cui ce ne rendiamo conto solamente quando ci viene a mancare.
Il dolore lo definirei come un tergicristallo, quando non riesci a capire in quale direzione devi andare, eccolo in azione due, tre, cinque, otto passate, a seconda di quanto ne hai bisogno e il tuo parabrezza ti ritrasmette l’immagine reale di quello che ti sta davanti.
Certo però che paragone… :)

….Mente sto scrivendo, il respiro della signora davanti cattura la mia attenzione, la vedo prendere con forza un respiro, poi ancora....tre, quattro sospiri ancora forti.... e poi il
silenzio assoluto, niente più sussulti, niente di niente, guardo con sgomento suo figlio perché mi sembra che non si renda conto di quello che stà succedendo.
Infine per ultima, una leggera strana tossetta.
Lui cerca di capacitarsi, di capire se respira ancora, intanto il tempo passa, secondi lunghissimi, interminabili. Finalmente si è deciso a suonare il campanello per chiedere aiuto, io paralizzata dall’attimo, non riesco a dire niente come se qualcosa di me non volesse in quel momento mettersi nel mezzo tra una madre e un figlio.
Ancora lui però non si è arreso, quando arriva l’infermiera fà una precisa domanda, lei in un modo così glaciale che mi ricorderò per un bel po’, conferma il decesso.
Arrivano i dottori, altri infermieri, tirano le tende intorno al letto e ci fanno uscire, lui con le mani si copre il volto e piange e io non posso fare a meno di dargli una pacca sulla spalla e piangere con lui.

C’è un tempo per nascere e un tempo per morire, stasera sentivo che era una notte particolare, mentre scrivevo, la Signora Bianca, l’ho vista in faccia per la prima volta, altre volte mi aveva anticipato, magari di poco, ma non ero riuscita mai a vederla nel pieno della sua rappresentazione.

Casualmente ripenso a undici anni fa, nel piano di sotto in un corridoio identico... ma stavolta nel reparto maternità, a me che piangevo singhiozzando al passaggio di una culla termica con
dentro un bimbo appena nato accompagnato da una nonna e una sorellina.

C’est la vie.


P.s. Questo post l’ho scritto riprendendo parti di un mio manoscritto di qualche mese fà, è un pò triste lo sò, ma riflette un periodo piuttosto intenso e recente della mia vita, ci tenevo a precisare che mia mamma ha avuto un’altra occasione per ripartire, alla fine abbiamo capito la causa del suo malessere fisico e adesso stà molto meglio, la vita come speravo, gli ha dato un’altra opportunità.

lunedì 18 maggio 2009

Torino



“Torino mi sembrava la città più graziosa d’Italia e, per quel che credo, d’Europa, per l’allineamento delle strade, la regolarità delle costruzioni e la bellezza delle piazze, la più nuova delle quali è circondata da portici …”.      

Charles de Brosses 1740

















venerdì 15 maggio 2009

Conoscenze


Poco tempo , tra un impegno e un altro, presso la scuola di danza ho incontrato la mamma di un'amica "ballerina" di mia figlia, le bambine si conoscono bene ma tra noi mamme non c'è mai stata occasione di fare grandi discorsi, solite cose, come va, tutto bene e così via.


Mentre aspettavamo il ritorno delle nostre care amate bambine ci siamo messe comode a sedere a parlare del più e del meno, non bene com'è iniziata, ma dal nulla siamo entrate in un turbinio di parole, questionando dei problemi dei giovani di oggi e delle loro famiglie, poi sui grandi mali della società e così via...argomentazioni un po' inusuali per mamme di corsa in un tardo pomeriggio di primavera.

Ad un certo punto, come risvegliata da un sogno, ho riflettuto un attimo sulla situazione un po' insolita a cui stavo partecipando e mi è scappato da ridere ad alta voce perché probabilmente le altre mamme vicino a noi ci stavano ascoltando.

Ci siamo guardate e anche la mia amica rideva perché anche lei si era resa conto che ci eravamo eclissate dal resto del mondo giocando un po' a fare le "intellettuali".
Poi ci siamo girate verso le altre e sempre ridendo gli abbiamo detto "scusate eh.... ma abbiamo colto l'ispirazione del momento", penso che di sicuro avranno pensato che non eravamo molto centrate.


Le bambine sono arrivate, ci siamo salutate e poi... "ehi, troviamoci qualche volta..."
Si, penso proprio di si.....

Non esiste niente di più gratificante di trovare persone che abbiano un filo diretto con te.
Non come può capitare, è un attimo, è come entrare in un tunnel di luce, come se improvvisamente passasse un treno e tu in una frazione di secondo decidi di salirci sopra.
Chissà dove porterà questo treno, sono curiosa.

mercoledì 13 maggio 2009

Donne con le palle

Prendendo ispirazione dai commenti del mio post precedente, mi sono ricordata di un breve capitolo dal libro "Col cavolo" di Luciana Littizzetto.
L'ho trascritto con le mie piccole manine da dattilografa da due soldi, pero' adesso sono soddisfatta, perchè sul web non l'ho trovato.

A parte le varie battute della Littizzetto, il finale lo voglio dedicare a tutte le mie colleghe donne...
"Buonanotte al secchio. E' tutta colpa del corpo calloso. Altro che cucche. Noi baiadere non solo abbiamo fianchi consistenti, polpacci da lottatori di sumo e pancette da piccolo buddha, ma anche un corpo calloso più spesso.
Che sarebbe a dire che con gli anni ci abbiamo fatto il callo? Anche.
Ma Piero Angela la spiegherebbe diversamente. Praticamente nelle donne il fascio di fibre nervose che collega l'emisfero destro a quello sinistro del cervello è più voluminoso.
Questo significa che pensiamo più in fretta, parliamo più veloce e facciamo prima a darci una mossa. Gli uomini invece, avendocelo piccolo piccolo, il corpo calloso intendo, non possono contare su connessioni rapide degli emisferi. Quindi riescono a fare una sola cosa per volta.
E a pensare un solo pensiero. E son pure pieni di fisime. E' per via dello stramaledetto corpo calloso che nel lasso di tempo che impiega il nostro boy a cambiare le pile dell'orologio a muro noi sparecchiamo la tavola, prepariamo il caffè, stendiamo il bucato, raschiamo le carote, scendiamo il cane, concimiamo le begonie e telefoniamo all'amante. Il mio visir.
Adesso vi racconto. in autostrada quando arriva al casello abbassa l'autoradio. Normale?
, sarebbe normale se lo facesse per sentire chiaramente quel che dice il casellante. Peccato che noi abbiamo il telepass, santissimo telepass. Bippp.... Lui non cela a superare il casello e ad ascoltare gli Steely Dan contemporaneamente. E io son lì con il mio corpo calloso che freme.
E allora chiudo gli occhi e penso positivo. Penso che è proprio grazie a lui, a quel ponticello del cervello che col tempo noi donne ci siamo emancipate. abbiamo raggiunto quasi la parità.
E quando riusciamo a fare le cose perbenino ci dicono pure che siamo donne con le palle.
Mammamia che orrore. Io non voglio essere una donna con le palle.
Le tette mi bastano e avanzano. Non so voi ma io non l'ho mai avuta 'st'invidia del pene.
Ho avuto nostalgia, qualche volta. Ma chi lo vuole? Lo stimo, ilpene.
E' un bell'articolo, per carità. Sa essere divertente quando si impegna.
Quando non ha bisogno di un viagra station wagon. Ma che rimanga lì dove' è sempre stato.
Non mi interessa assolutamente. Neanche in saldo.
Io voglio rimanere una donna normale. Che non si mettere i piedi in testa ma sa tollerare. Invece adesso serpeggia tra il gentil sesso 'sta mania della rivincita.
Vogliamo aver sempre ragione. Anzi. Riprenderci la ragione. Non essere felici.
E' di questo che si muore. Si muore nell'ostinato tentativo di avere ragione. Ma la ragione non è mai tutta da una parte. Con il corpo calloso che ci ritroviamo dovremmo capirlo, no?
Per aver ragione si è disposti a tutto.
Anche a guastare la vita propria e quella degli altri.
Io ho deciso.

Non voglio avere ragione. Voglio essere felice."
Foto web

sabato 9 maggio 2009

Fiori? ...si...ma di Bach!



Provenza 2007

Oggi è stata una giornata tranquilla e serena, potrei quasi dire una giornata felice anche se non ho fatto niente di particolare, forse perché era una giornata calda quasi estiva, così calda che per l'occasione abbiamo tirato fuori dopo tanti mesi il tavolo con le sedie in terrazza, così la sera abbiamo cenato fuori.
Ho sistemato un po' le mie piante, sopratutto quelle grasse, oggi finalmente mi sono sentita bene, carica di energia, chissà se devo ringraziare l'effetto della cura con i fiori di Bach, oppure sarà solamente il cosiddetto "effetto placebo". 
Ma poi, in fondo chi se ne frega, ben venga la "magia" dei  fiori di Bach o quello che è, non voglio fossilizzarmi sulla causa del mio stato euforico, quello che mi interessa è solamente il risultato.
Penso che veramente scarica come a questo giro non lo sono stata mai, non è solamente questione di sentire un po' la primavera, è proprio vera e propria mancanza di energia, più mentale che fisica.
Qualcuno ogni tanto mi dice che dipende dal periodo di stress che ho avuto fino a qualche mese fà, ma non saprei, io voglio solo che questo mio torpore mentale finisca...
A volte mi sento talmente inchiodata a terra, penso a quello che dovrei fare ma non trovo la voglia di farlo, tutto mi sembra un'impresa colossale.
Qui faccio una premessa, di depressione non voglio sentirne neanche parlare, ho cancellato questa parola dal mio dizionario personale, purtroppo ho toccato con mano gli effetti devastanti di questa malattia su persone a me vicine, è come se avessi fatto un giuramento a me stessa, vada per i periodi scarichi più o meno lunghi, ma io con le scatole di antidepressivi non voglio averci a che fare proprio niente. 
Ultimamente una persona mi ha detto che forse il mio problema è che semplicemente penso troppo, ecco, su questo non posso dire niente, è la verità.
Insomma fondamentalmente sono una persona sorridente, attiva e voglio continuare ad esserlo, sono su questo pianeta da qualche anno e come tutte le persone di questo mondo ho avuto pure io qualche problema, ma chi è che non ha mai avuto problemi....
Di certo se imparassi ad essere più menefreghista vivrei meglio sicuramente, ma poi non riuscirei ad essere in pace con la mia coscienza.
Cerco per quanto mi è possibile di difendermi dai ricatti psicologici di chi mi stà accanto e a volte non si rende conto del meccanismo che mette in atto.
Certo, mai come adesso avrei voglia di rispettare i "miei tempi", ma cosa faccio, non vado più al lavoro e vado a fare delle belle girate???
Bello sarebbe prendersi un anno "sabbatico", potrei scrivere un libro o scalare l'Everest o anche meno...adesso mi viene in mente quando davvero ho preso un anno di "pausa" dal lavoro, ovvero quando è nata mia figlia.
Questo è stato l'anno più felice della mia vita, in assoluto.
Lì non ero alla ricerca della felicità perché c'era di già, era reale, si toccava con mano.
E anche mio marito era felice, perché quando tornava dal lavoro il giorno c'erano le sue donne a fargli compagnia.
Poi sono tornata a malincuore al lavoro e da lì in poi è stata sempre una corsa...
Forse sarebbe stato meglio fare la mamma a tempo pieno, con qualche soldo in meno ma più felice. Ma chissà perché tutti ti consigliano di rientrare, perché se no poi "ti annoi, non hai i tuoi spazi, ti viene la depressione a stare in casa, dove lo ritrovi un lavoro così vicino casa"... mah ... se avevo dato retta al mio istinto chissà come l'avrei pensata adesso...forse mi sarei lamentata lo stesso?
Chissà ... ma guardiamo avanti ...

p.s. ueh....questo è il CENTESIMO post...

Dedicato a te ...


Ancora qui

Non è mai facile un ritorno
non è impresa da niente
ma finalmente arriva il giorno che tu fai pace con te
capire il vento, la ragione, il momento
spogliarsi di ogni incertezza, inseguire un canto...
anche se per gli altri sarà follia

Ad occhi chiusi io riconoscerei la mia prima volta,
tra quei sorrisi e quella sincerità il mondo era mio
quella minestra calda quanto mi manca
essere il primo a tutti i costi davvero stanca...
voglio respirare poesia,
la mia!

Ancora qui
per dire di si ai miei sentimenti
con l’onestà di chi non ha mai barato con te,
abbracciami adesso perché è tempo di noi
io non ti ho scordato, non l’ho fatto mai

Una domenica diversa da qui, talmente lontana
era un appello che forse per noi non tornerà più
i miei pensieri in volo dalla finestra
che diventava un pianeta quella mia stanza
se il coraggio un premio non è, cos’è...

Ancora qui
per dire di si,
riaccendere i sensi
affinché tu non mi veda più diverso da te...
Nessuna dogana per noi
nè ieri, nè mai...
ecco il mio indirizzo, torna quando vuoi :D

Lascia la porta spalancata alla vita
anche se l’hanno umiliata, brutalizzata
C’è ancora qualche cosa di me,
in ogni latitudine c’è,
qualcosa per cui ritornerei da te
da te.. ancora da te...