Pagine

giovedì 6 agosto 2009

Ognuno di noi è un gabbiano che imparara a volare

"...Ma lontano di là solo soletto, lontano dalla costa e dalla barca, un gabbiano si stava allenando per suo conto: era il gabbiano Jonathan Livingston.
Si trovava a una trentina di metri d'altezza: distese le zampette palmate, aderse il becco, si tese in uno sforzo doloroso per imprimere alle ali una tor­sione tale da consentirgli di volare lento.

E infatti rallentò tanto che il vento divenne un fruscio lieve intorno a lui, tanto che il mare ristava immoto sotto le sue ali.
Strinse gli occhi, si concentrò intensamente, trattenne il fiato, compì ancora uno sforzo per accrescere solo... d'un paio... di centimetri... quella... penosa torsione e... D'un tratto gli si arruffano le penne, entra in stallo e precipita giù.


I gabbiani, lo sapete anche voi, non vacillano, non stal­lano mai.
Stallare, scomporsi in volo, per loro è una vergogna, è un disonore.
Ma il gabbiano Jonathan Livingston - che faccia tosta, eccolo là che ci riprova ancora, tende e torce le ali per aumen­tarne la superficie, vibra tutto nello sforzo e patapunf stalla di nuovo - no, non era un uccello come tanti.


La maggior parte dei gabbiani non si danno la pena di apprendere, del volo, altro che le nozioni elementari: gli basta arrivare dalla costa a dov'è il cibo e poi tornare a casa.
Per la maggior parte dei gabbiani, volare non conta, conta man­giare.
A quel gabbiano lì, invece, non importava tanto procu­rarsi il cibo, quanto volare.
Più d'ogni altra cosa al mondo, a Jonathan Livingston piaceva librarsi nel cielo.
Ma a sue spese scoprì che, a pensarla in quel modo, non è facile poi trovare amici, fra gli altri uccelli. E anche i suoi genitori erano afflitti a vederlo cosi: che passava giornate intere tutto solo, dietro i suoi esperimenti, quei suoi voli pla­nati a bassa quota, provando e riprovando.
Non sapeva spiegarsi perché, ad esempio, quando volava basso sull'acqua, a un'altezza inferiore alla metà della sua apertura alare, riusciva a sostenersi più a lungo nell'aria.e con meno fatica. Concludeva la planata, lui, mica con quel solito tuffo a zampingiù nel mare, bensì con una lunga scivolata liscia liscia, sfiorando la superficie con le gambe raccolte con­tro il corpo, in un tutto aerodinamico.



Quando poi si diede a eseguire planate con atterraggio a zampe retratte anche sulla spiaggia (e a misurare quindi, coi suoi passi, la lunghezza di ogni planata) i suoi genitori si mostrarono molto ma molto sconsolati.
« Ma perché, Jon, perché? » gli domandò sua madre. « Perché non devi essere un gabbiano come gli altri, Jon? Ci vuole tanto poco! Ma perché non lo lasci ai pellicani il volo radente? agli albatri? E perché non mangi niente? Figlio mio, sei ridotto penne e ossa! »
« Non m'importa se sono penne e ossa, mamma. A me importa soltanto imparare che cosa si può fare su per aria, e cosa no: ecco tutto. A me preme soltanto di sapere. »
Richard Bach - Il gabbiano Jonathan Livingston

Dedicato a tutti quelli che almeno una volta si sono sentiti come il gabbiano Jonathan Livingston....
Tra qualche giorno partirò per il mare in cerca di gabbiani... un saluto a quelli che partiranno e a quelli che sono già tornati... a presto!